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Quella che, nel 2006, nasce sui tetti di Neuhausen, leggiadro quartiere liberty di Monaco, e viene battezzata col nome dell’eroe dell’ultimo romanzo di Thomas Mann, è, nel panorama contemporaneo, più che una casa editrice: è un atto di accusa alle case editrici, italiane e tedesche, e a tutto l’establishment culturale, al suo sole, ai suoi pianeti, ai suoi satelliti, ai suoi sassolini rotanti e ai suoi manutengoli …

Una casa editrice senza eguali non solo per la qualità atipica dei libri e per lo spirito e la vitalità che la informano, senza eguali anche perché i suoi fondatori non l’hanno voluta per vanità o presunzione, dopo essere magari entrati in possesso di un’eredità che non sapevano in che altro modo impiegare, ma l’hanno creata con un atto trasgressivo, a dispetto di tutte le circostanze esteriori, finanziandola con lavoro di ripiego, quando la creazione da sola sarebbe stata più che sufficiente ad assorbire le loro energie e a colmare interamente la loro la vita.

Lodovica San Guedoro e Johann Lerchenwald hanno dovuto, invece, appropriarsi del mestiere di editore, poiché gli editori non facevano il loro, addossandosi direttamente tutti i compiti sui quali di solito questi si limitano a vegliare: essere grafici, impaginatori, correttori di bozze, curatori, prefatori, ufficio stampa e pubblicizzatori, non ultimo attraverso circa sessanta video di pregevoli ed ispirate letture, fuse con immagini e musiche d’incantevole bellezza e forza di suggestione.
In margine non va dimenticato che i nostri due scrittori si occupano persino di tradurre in italiano o tedesco alcuni dei loro libri usciti in lingua originale. Infatti, per chi non la conoscesse ancora, quella di cui si parla è una casa editrice bilingue. E a ogni nuova pubblicazione hanno impegnato un’eroica battaglia di ripetute sollecitazioni, inviti, preghiere, invocazioni, appassionati e testardi, veementi e disperati richiami alla ragione e al riconoscimento del valore letterario, per farla recensire dai giornali. Per non far naufragare dei capolavori nel confuso, folle e apocalittico mare di torpida, abulica indifferenza e di parole menzognere, si sono piegati a partecipare tra il 2016 e il 2020 alla bellezza di cinque edizioni consecutive del Premio Strega. Ma quei signori, giornalisti o membri del Comitato direttivo, hanno dissipato senza batter ciglio libri di valore, li hanno bruciati con irresponsabile leggerezza come se si fosse trattato di legna da ardere! I due romanzi sentimentali di Lodovica San Guedoro, per esempio, insieme mille pagine di sublime sentimento e sublime lingua italiana, sono stati da loro colpevolmente ignorati. Eppure nessun paese, nemmeno la Francia, può vantare romanzi d’amore più insoliti e grandi.

Parole sempre più grandiose, sempre più superlative, sempre più avulse dalla realtà dei libri, sono ormai da molto tempo prerogativa di tutte le recensioni che si leggono sui giornali, ma anche di tutte le schede di presentazione al Premio Strega, il cosiddetto premio letterario più prestigioso d’Italia, emblema, termometro e spia dello stato spirituale del paese: si dipanano su un piano a sé stante, autosufficiente e immaginario. I libri stessi sono un’altra cosa, sebbene immaginari essi stessi. È così che si tradisce il vuoto di contenuti dei libri e l’imbarazzo a parlarne davvero. Ne deriva una gara sfrenata di vacuità e nonsense, un iperbolico vaniloquio.

I lettori per i buoni libri ci sono, come hanno dimostrato l’amore, l’affetto, l’entusiasmo e la gratitudine di quelli che si sono espressi sui nostri. A non esserci sono gli editori, loro sono delle vere mummie, che non vedono, non sentono, non pensano. Non fanno che inseguire il bestseller e collezionano invece un flop dietro l’altro, come si meritano. A volte viene il dubbio che vivano di fondi neri e non di libri.

In Germania la tradizione letteraria moderna è certo un’altra. Due disastrose guerre mondiali hanno, però, contribuito a far divenire pusillanimi gli eredi di una Cultura che un secolo fa rappresentava per non pochi in Europa, e non solo in Europa, un faro nella notte. Passati i tempi dell’idealismo e del romanticismo, passati i tempi dell’ingenua e caparbia ricerca della verità. Le virtù, che contraddistinguevano questo popolo, hanno prodotto l’Olocausto: tale è il mortifero credo diffuso all’interno dell’intellighenzia odierna. Per cui bisogna fare i camaleonti e tentare in ogni modo di confondersi con la banalità globale. E con ciò arriviamo al grottesco paradosso che un autore come Johann Lerchenwald ha ricevuto maggior attenzione in Italia che in patria.

Non ci facciamo certo illusioni. Sappiamo troppo bene di attraversare un’epoca buia, di essere sprofondati in un moderno medioevo, per parafrasare Hermann Hesse, in cui le persone d’ingegno non trovano i canali, e spesso neanche le parole, per esprimersi, mentre all’opposto quelle che non hanno nulla da dire sviluppano la sciagurata ambizione di essere protagonisti in qualunque settore e possibilmente anche di scrivere e di pubblicare romanzi. E, non avendo storie da raccontare, saccheggiano la Storia. Quanti romanzi storici ne nascono ogni momento, Dio solo lo sa. Ma, signori, senza serietà, senza coraggio e libertà di spirito, senza personalità e senza avventura, niente romanzo! Così possono nascere solo amorfi pasticci, a una visione originale, individuale e profonda, si sostituiscono straccetti di una presunta saggezza, moralette di seconda mano arraffate a destra e sinistra, una lingua stantìa e prefabbricata o falsamente innovativa, che lungi dal trasmettere la verità, veicola la frode, la menzogna e la noia. Nessuna interiorità o alchimia dell’io, nessun autosuperamento, nessuna trasfigurazione o sublimazione della realtà nell’Arte, nessun sogno, né grande, né piccolo, la fantasia che non abbia i piedi piantati sulla terra è solo alienazione …

Pienamente e tragicamente consapevoli di questo miserabile stato di cose, noi proseguiremo a dispetto di tutto la nostra coraggiosa traversata dell’oceano su una barchetta, niente potrà fermarci, e rimaniamo in attesa di nuovi audaci compagni di avventura, decisi a condividere il rischio esaltante di un’impresa così controcorrente, così poco alla moda e così affascinante com’è la nostra.